Quando i libri bruciano, la geometria resta

Platone sostiene che conoscere significa ricordare. E come si fa a ricordare? Si racconta che il poeta Simonide fu salvato dall’intervento degli dei poco prima del crollo di una casa nella quale una sera era stato invitato a cena. Egli, rientrando alcuni giorni dopo in quell’ecatombe, riconobbe tutti i cadaveri seduti al proprio posto intorno alla tavola, nonostante il rogo li avesse resi irriconoscibili. La memoria si aggrappa allo spazio e alla posizione delle cose. Da ciò ebbe origine il suggerimento, dispensato all’epoca agli oratori, ma potremmo dire oggi agli studenti, di depositare almeno con la mente, in questo o in quel punto della propria casa per esempio, questo o quel capitolo di un testo che durante un’interrogazione magari si ritroverà via via nell’esposizione. E poi certo, si ricorda anche scrivendo. E qui i Greci cambiarono lo strumento, inventando l’alfabeto. Bisogna ammettere però che questo tipo di ricordi sono delicati, la memoria di un essere umano è labile e i libri scritti possono andar perduti o distrutti dagli incendi. Come resistere allora alle carenze mnemoniche e al tempo che consuma antichi volumi? La soluzione consiste nelle scienze matematiche, nella capacità di astrazione delle forme geometriche. Tanto per fare un esempio, la definizione del cerchio comprende un insieme di informazioni che vanno al di là del calcolo della sua area. Non è un caso che tra i libri più tradotti e diffusi dall’umanità gli Elementi di Euclide si trovino in ottima posizione, anche rispetto alla Bibbia. Se poi le dimostrazioni di ipotesi matematiche verranno sostituite interamente dagli algoritmi, questo lo vedremo.

Facebook
Twitter
Email
Stampa